SERVIZIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLE PERSONE CON DISABILITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La disabilità non è una vocazione

di Simone Stifani e Luciano Manicardi
21 Maggio 2025

Prefazione di suor Veronica Donatello

Edizioni Qiqajon | 2025 | Pagine: 224

Quando diciamo che l’essere umano è a immagine di Dio, a quale essere umano pensiamo? Una certa retorica antievangelica sul valore salvifico della sofferenza, quanto in realtà è violenta nei confronti delle persone con disabilità?

In quest’opera a due voci, Simone Stifani (vedi sotto), a partire dal proprio vissuto, offre chiavi di lettura che interrogano la comprensione della disabilità da parte di chi non la vive, mettendo in discussione un immaginario di Dio, della chiesa, dell’essere umano pensato e narrato sempre dai presunti “normali”.

Luciano Manicardi, biblista e priore della priore della comunità monastica di Bose dal 2017 al 2022, ricorda che ciò che chiamiamo “disabilità” è una possibilità dell’umano. Una possibilità indesiderata ma reale. La vulnerabilità è una dimensione antropologica costitutiva dell’umano, che anche i vangeli affrontano: lo sguardo di Gesù si pone in modo particolare su quelle persone malate nel corpo e nella psiche che noi oggi chiamiamo “disabili”.

Tre domande a uno degli autori

Primo piano StifaniSIMONE STIFANI, leccese, laureato in scienze religiose, si dedica alla divulgazione di temi biblici e monastici. Lavora per Radio Orantes, del monastero benedettino San Giovanni Evangelista di Lecce e collabora con la rivista "Benedictina" del Centro storico benedettino italiano.

La disabilità non è una vocazione. Cos'è?
«Il libro prende le mosse da una riflessione che abbiamo sviluppato qualche anno fa al Monastero di Bose a Ostuni. Anche a livello teologico c’è questa immagine errata di un Dio che vorrebbe soltanto la sofferenza delle persone e in particolare delle persone con disabilità. A volte da parte della società, ma anche delle comunità cristiane, riscontriamo un’accoglienza delle persone con disabilità come se fosse un’azione verso il basso, verso persone che devono essere aiutate, non viste come soggetti da porre al centro della pastorale ecclesiale e di quelle dinamiche che sono comuni a tutti. Nessuno è la sua disabilità. Gesù si è donato, ma la sua vita non è da assolutizzare nel mistero di Passione e morte: le sue parole, i suoi gesti sono espressione, dono di amore e di vita, che ci dicono che tutti possiamo andare oltre il nostro stesso limite, cogliere il dono della vita che Lui ci fa e declinarla a seconda di quello che vogliamo essere».

Cosa intende Justin Glyn, che lei cita nel testo, quando dice: «Ogni caratteristica ci può introdurre più profondamente nel mistero della creazione»?
«La creazione è stata voluta da Dio non come una realtà perfetta in sé. All’interno della creazione vi è una pluralità di presenze. Tutte queste presenze, nessuna esclusa, sono parte del progetto di creazione di Dio e portano in sé l’esperienza del limite, un'esperienza che definisce la realtà creata da Dio. Questo non solo non tradisce il progetto originario voluto da Dio, ma lo rende visibile per come è».

Ciascuno di noi dovrebbe «guardare all’umano e alle sue infinite possibilità di donarsi e di vivere». Da dove partire?
«Sicuramente dal non ridurre la persona con disabilità al proprio limite ma essere consapevoli che è creata a immagine di Dio, un Dio sconfinato. Come chiesa e come società è necessario far tirare fuori alle persone con disabilità tutti i talenti, le potenzialità. Emergerà così quella sconfinatezza di Dio che è insita in ciascuno di noi e che rappresenta una ricchezza per l’umanità».