La notizia ha fatto il giro dei media italiani in questi giorni: due ragazze disabili, entrambe in carrozzina, sono state escluse dalla partecipazione a due importanti concerti, uno a Roma e l’altro a Milano, a causa della loro condizione. Le due giovani non si sono date per vinte e alla fine — grazie anche al richiamo mediatico che la vicenda ha avuto — sono riuscite a ottenere quanto desideravano. Una storia a lieto fine, dunque, che ha però sottolineato ancora una volta quanto può essere difficile la vita di persone con disabilità in un Paese pure economicamente avanzato come l’Italia. Certo molti progressi sono stati fatti in questi ultimi anni sul fronte dell’accessibilità e dell’inclusione, ma sembra ancora mancare qualcosa: il riconoscimento che anche le persone più fragili hanno diritto al tempo libero, a divertirsi, ad andare a un concerto o a teatro, a vivere come tutti gli altri le gioie della vita. Muovendo da questa notizia di cronaca estiva, abbiamo chiesto a suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio Nazionale della Cei per la Pastorale delle persone con disabilità, di riflettere su cosa oggi chiede alla comunità e alle istituzioni il poliedrico mondo della disabilità. Per la francescana alcantarina — con la quale da anni collaboriamo per offrire la traduzione in Lingua dei Segni degli eventi papali sui media vaticani — il primo cambiamento deve essere innanzitutto culturale: comprendere che i disabili non sono la loro diagnosi, ma persone che vogliono mettersi in gioco in ogni esperienza della vita, nella società come nella Chiesa.
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