di Massimo Giraldi, Sergio Perugini
Quando la cucina si fa spazio di incontro e possibilità di riscatto. È quanto ci racconta il film “Quanto basta” (2018) di Francesco Falaschi, settimo titolo del ciclo di visioni proposto dalla Commissione nazionale valutazione film e dal Servizio Nazionale per la pastorale delle persone con disabilità della Conferenza Episcopale Italiana. Muovendosi sul binario della commedia, “Quanto basta” affronta il tema della disabilità mentale e nel contempo l’incontro tra due solitudini in cerca di una (seconda) possibilità nella vita grazie al lavoro. Un rimettersi in gioco che schiude indipendenza e condivisione.
Fornelli e libertà
Arturo (Vinicio Marchioni) è uno chef di successo dal temperamento irascibile, che lo ha portato a una condanna ai servizi socialmente utili presso un’associazione che lavora con ragazzi con sindrome di Asperger. Lì è chiamato a insegnare loro come stare in cucina in maniera professionale. Seppure scontroso e svogliato, Arturo si fa apprezzare immediatamente dal giovane Guido (Luigi Fedele), che dimostra una memoria olfattiva fuori dal comune. Guido sogna di trovare un lavoro dietro ai fornelli, sua grande passione, ma anche occasione per affrancarsi dai nonni e assaporare finalmente una vita adulta, segnata dall’indipendenza. Spinto da questo desiderio il giovane si iscrive a un concorso di cucina per chef emergenti e chiede ad Arturo di accompagnarlo. Il viaggio diventa per entrambi un’opportunità: per porre le basi di un rapporto di amicizia e per fare un bilancio della propria esistenza, soprattutto degli irrisolti.
Viaggio di formazione per ritrovare la libertà
Il regista toscano Francesco Falaschi, classe 1961, al suo quarto lungometraggio firma una brillante commedia, “Quanto basta”, che unisce il tema della disabilità mentale con quello del lavoro, della formazione e dell’amicizia. Protagonisti sono Arturo e Guido, il primo è un noto chef quarantenne che “colleziona” denunce e fallimenti; il secondo è un ragazzo con sindrome di Asperger particolarmente portato per la cucina. Due persone diverse, distanti a livello anagrafico e caratteriale, chiamate però a condividere un viaggio insieme per partecipare a un concorso di cucina in Toscana.
Arturo incarna genialità professionale e sregolatezza. Si è fatto conoscere nell’ambiente della ristorazione per il suo indubbio talento, ottenendo non pochi riconoscimenti come le stelle Michelin. L’uomo però è ombroso e spesso incline a sfoghi di rabbia; questo gli è costato caro, ovvero la chiusura del ristorante e un periodo di detenzione. E proprio i suoi precedenti con la giustizia lo obbligano a svolgere dei lavori socialmente utili presso una cooperativa che fa formazione a giovani con disabilità mentale. Lì insegna abbastanza svogliatamente, desideroso solo di esaurire il tempo a sua disposizione. L’incontro però con Guido lo cambia, inizia a mettere in discussione questo suo vivere così distaccato e stanco; lo spinge a fare di meglio, a fare di più, trasmettendogli l’energia per essere un buon maestro, un bravo educatore. Per Guido Arturo è un maestro da cui apprendere segreti di cucina ma anche un amico con cui fronteggiare difficoltà: guidare la macchina, conoscere una ragazza, trovare un lavoro, un’occupazione stabile.
Il giovane Guido è dunque proposto come pieno di sogni e voglia di mordere la vita; è vero, ha la sindrome di Asperger, ma non per questo significa che debba rinunciare a condurre un’esistenza piena, realizzata e gratificante. Con la sua tenacia Guido diventa di fatto un modello e nel contempo uno stimolo per Arturo, una persona che vive un’esistenza deragliata e caotica. Grazie all’amicizia con questo ragazzo lo chef ritrova se stesso, rinnovato dalla bellezza dell’incontro e della prossimità.
Il film, pur muovendosi su un tracciato semplice e lineare, si rivela comunque una proposta interessante capace di mettere a tema l’importanza di riscattarsi dopo una caduta, di riconciliarsi con la vita, così come valorizzare competenze e talenti di una persona, a di là della condizione di disabilità. Il lavoro, infatti, garantisce dignità e libertà a una persona, la possibilità di essere autonomi e autosufficienti come pure di offrire il proprio contributo al vivere sociale. Del resto, come ha ricordato papa Francesco: “Il lavoro è quello che rende l’uomo simile a Dio, perché con il lavoro l’uomo è creatore, è capace di creare, di creare tante cose (…). il lavoro ha dentro di sé una bontà e crea l’armonia delle cose – bellezza, bontà – e coinvolge l’uomo in tutto: nel suo pensiero, nel suo agire, tutto. L’uomo è coinvolto nel lavorare. È la prima vocazione dell’uomo: lavorare. E questo dà dignità all’uomo. La dignità che lo fa assomigliare a Dio. La dignità del lavoro” (Francesco, Omelia, 1° maggio 2020).
Dal punto di vista pastorale, la Commissione nazionale valutazione film CEI ha riconosciuto il film “Quanto basta” come consigliabile, problematico e per dibattiti (www.Cnvf.it).
Il punto del Servizio per la pastorale delle persone con disabilità
“‘In ‘Quanto basta’– indica suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio CEI per la pastorale delle persone con disabilità – si abbatte il muro contro il pregiudizio, quello che riguarda le persone adulte e nello specifico con disabilità, per le quali esistono poche opportunità o proposte nel mondo del lavoro. Questo film ci accompagna a vedere le cose da un’altra angolatura, nel segno della fiducia, mostrando il percorso di affermazione professionale di un giovane con Asperger. E a ben vedere attraverso l’ingresso nel mondo del lavoro della persona con disabilità che ne beneficia l’ambiente tutto, arricchito dall’incontro e dalle competenze. Un beneficio che tocca tutti, come emerge dal rapporto tra Guido e lo chef Arturo”.